Il Consorzio Valdarno di Sopra e la vocazione bio.
Una denominazione di vino biologico è un tema che interessa i consumi sostenibili perchè cerca di integrare il valore e la tradizione delle denominazioni di qualità con il metodo di ‘qualità’ che è appunto l’agricoltura bio. E’ anche la sfida dei produttori del Valdarno che criticano l’atteggiamento del ministero.
“La denominazione di vino biologico è il punto nodale della questione” spiega Ettore Ciancico, segretario del Consorzio Valdarno di Sopra, in una intervista sul sito valdarnopost. Il consorzio non arretra e vuole sia il riconoscimento della denominazione geografica che del metodo produttivo, “permettendo così di caratterizzare il proprio prodotto esaltando la biodiversità e tutelando la salute dei consumatori e dei lavoratori.”
La zona di produzione del Valdarno di Sopra è antica e radicata nella tradizione, sono passati più di 300 anni infatti dal Bando di Cosimo III (1716) con il quale si delimitarono ufficialmente le aree in base alla produzione – Chianti Classico, Valdarno di Sopra, Pomino/Chianti Rufina e del Carmignano – ponendo le basi delle distinzioni di denominazione nella produzione vitivinicola.
Oggi, i produttori vorrebbero che nel disciplinare venisse accolto anche il bio. La richiesta è stata fatta all’unanimità, “perchè di fatto già tutti sono in regime biologico”. Ma se a livello regionale, la riunione di filiera ha dato il via libera alle modifiche richieste e in sede ministeriale che sono sorti i problemi.

Gli aderenti al consorzio con le magliette “biorevolution” indossate durante Primanteprime a Firenze
Denominazione e biologico due mondi differenti? ”Abbiamo trovato un dissenso da parte del ministero con il quale in una prima interlocuzione avevamo trovato un atteggiamento positivo, dopodiché hanno ritratto il loro consenso – continua Ciancico – dimostrandosi contrari poiché, a loro dire, denominazione e biologico appartengono a due filoni differenti che non possono essere raggruppati in un’unica classificazione. Noi, tuttavia, abbiamo bisogno di poter certificare ed essere riconosciuti in ambito nazionale ed internazionale, poiché quello che facciamo è investire in credibilità e crediamo si possa, e si debba, scegliere la strada nuova e virtuosa anziché le difficoltà tecnico – burocratiche.”
“Quello che cerchiamo di fare – spiega Luca Sanjust, che del Consorzio è il presidente – è il meglio che possiamo, impegnandoci tutti non solo per fare del buon vino, ma per salvaguardare la biodiversità, rimboccandoci le maniche per trovare una strada condivisa a livello nazionale e locale così da risolvere e rafforzare questa situazione“.
Sulla stessa lunghezza anche la deputata Susanna Cenni, presente all’incontro. ”La scelta di produrre con criteri e pratiche bio può diventare un valore aggiunto importante questa è una di quelle esperienze che nasce dal basso, importantissima per il territorio e l’agricoltura in generale, che trovando la giusta sintonia tra cittadini ed amministrazioni può portare ad importanti cambiamenti”.
La sfida per la prima doc bio è solo aperta.